martedì 30 novembre 2010

La città. O meglio, Parma

Parma pubblicizza Parma, celebra Parma in un continuo gioco di autocitazione attraverso riviste, spot, giornali e quotidiani provinciali e nazionali.

Parma si contraddistingue per le scelte pubblicitarie che propone: Parma allestisce le vie selezionando prodotti parmigiani, colori parmigiani, idee parmigiane. [cfr. Parma di una volta]
I colori, le luci, i rumori che vibrano nel centro e nella stazione, propongono al passeggiatore una duplice visione paesaggistica: architettura e pubblicità.

A causa della lotta mediatica ormai non si possono più confrontare eticamente le due arti, poiché la pubblicità non è più creata e studiata da grandi artisti o designer, ma buttata e affissa con l’unico intento di vendere (forse). Eppure la tradizionale architettura ci filtra attraverso insegne caleidoscopiche che la nuova generazione non può non vedere senza. È come un costume di scena, senza il quale ormai gli edifici non avrebbero rilievo di fronte agli occhi “flashati” dei giovani. Non sentiamo più dire “Quello è il Palazzo del Comune” bensì “Quella è la vetrina del negozio di ….”. 

Oltre la pubblicità c’è ancora l’architettura: ma che valore ha assunto in questi anni? Cosa potrebbe rappresentare senza quel costume di scena che tanto ormai ha mistificato? 

Gli affollati sottopassaggi della stazione dei treni ci incorporano nell’onda urbana che si dirige verso il centro della città. Un’ultima occhiata all’orologio e in sottofondo il ripetitivo motivo pubblicitario ci suggerisce lo spuntino di metà mattina.

Accompagnati dal torrente, notiamo slogan dal tema sociale sui muri trascurati; tiriamo dritto dirigendoci verso i marmorei portici che ci rivelano l’illuminata piazza centrale.

Avvolti nell’atmosfera cittadina, notiamo le varie insegne - storiche, originali, colorate - dei tanti negozi che allestiscono le vie della città. Lo sguardo sfugge poi alle vetrine accuratamente allestite, ai cartelloni pubblicitari, alle locandine propagandistiche di spettacoli e mostre.

In questa passeggiata siamo solo riusciti a notare la pubblicità che è di ornamento alla città. Eppure sappiamo cosa c’è oltre, cos’ è stato messo in secondo piano da quei teloni cerati che in questo periodo coprono i monumenti e le architetture più conosciute (la torre del Duomo, il Garibaldi, la stazione stessa); e poi, alla fin fine, i grandi manifesti si riferiscono al medesimo contesto: Parma. 

Nel tentativo di autoconvincerci che non ci sia nulla di male nel notare prima la moda e l’arte poi, ricordo un aforisma di George Orwell:
 “La pubblicità è il rumore di un bastone in un secchio di rifiuti” .

Contestualizzando le parole, si intuisce che la pubblicità ha un suo percorso di vita, una sua molteplicità di significati, di temi: ricercando una definizione significante del termine, troviamo che il rumore è “una qualsiasi perturbazione sonora sgradevole all'orecchio prodotta da un succedersi irregolare di vibrazioni […]”, oppure “l’insieme dei suoni prodotti dalla voce umana indistintamente o confusamente percepiti”, o ancora “il suscitare interesse”. [Dizionario Zanichelli on line]

 Allora l’Architettura è coperta dal “rumore” delle Pubblicità, ma non siamo in grado di definire in che modo, ed effettivamente non è nemmeno il nostro intento. Dando al singolo la libertà di valutazione si possono giungere ad una pluralità di considerazioni. In questa fase di mostra intitolata per l’appunto “Urban Wave’s” ci troviamo a rincorrere queste onde pubblicitarie all’interno del reticolo urbano, con la finalità di definire una delle possibili critiche della “pubblicità coprente”. Attraverso uno specifico e attento percorso artistico, la città di Parma sarà riproposta in un’ottica sintetica con l’intento di proporre il percorso mentale che esemplifica il rapporto tra Architettura e Pubblicità: la “pelle del muro” e non solo – spot di note industrie locali, autopromozione culturale - crea un interessante legame con la storia, la società e l’arte di questa città.

La pubblicità quindi vive, muore [cit. BALLARDINI B. La morte della pubblicità, Castelvecchi, 1994], si evolve, si sdoppia distraendo più sensi, la vista e l’udito, e ricopre i muri di antichi palazzi impedendoci di osservare cosa ci sia sotto.

“Una città quale luogo dell’analisi e del conflitto, dove grazie alle innovazioni mass mediatiche e tecnologiche, l’artista verifica da artefice, il potere ingannatore e ambiguo dell’iconosfera pubblicitaria”. [cit. ILARIA BIGNOTTI. Apocalittici integrati o traditori?, Parma, 2010]

Il legame tra le arti di cui tanto si discuteva nelle Triennali degli anni ’70, in questa città confluiscono in un unico tema: l’arte di mostrare la città. Attraverso la propria cultura, i prodotti, l’arte, l’architettura e la reclame, Parma fa parlare di se stessa, riconducendoci in quell’onda urbana di rumori che ricoprono e lasciano intravedere in trasparenza cosa c’è oltre la pubblicità.

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